L’emergenza sanitaria, oltre che umana ed economica, sta colpendo pesantemente larga parte dell’industria italiana, salvando dal fermo forzato solo i settori essenziali: servizi pubblici, agroalimentare, chimico-farmaceutico, energia, commercio alimentare, prodotti e servizi a questi connessi e poco altro. Insomma, un’economia di sussistenza o, come dice qualcuno, di guerra.
Tra i settori esclusi, perché essenziale, ovviamente la gestione dei rifiuti, sia urbani che speciali. Tutto bene, dunque per queste imprese, per i cittadini e le aziende a cui assicurano la continuità dei servizi?
Niente affatto! L’attuale situazione sta impattando (e continuerà ad impattare) anche su questo comparto (e sui suoi clienti) pesantemente e sotto molteplici profili: gestionale-organizzativo, economico finanziario, strategico-politico.
Il blocco di larga parte dell’industria italiana si traduce, innanzitutto, in una drastica riduzione dei rifiuti speciali da trattare. Althesys ha provato a fare una prima stima, partendo dai settori indicati dal DPCM del 25 marzo 2020 (che modifica l’elenco dei codici ATECO dell’Allegato 1 del DPCM del 22 marzo 2020) e distinguendo tra quelli soggetti a restrizioni diverse. Ipotizzando che nel complesso si perdano due mesi lavorativi tra fermo e ripartenza, si avrebbero tra i 4,2 e i 4,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali in meno solo nelle tre regioni più colpite: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Con una stima grossolana, i due mesi di fermo delle attività ritenute “non essenziali”, comporterebbero per le imprese che gestiscono gli speciali una perdita di fatturato intorno al miliardo di euro.
Il settore in Italia, come è noto, presenta diverse fragilità e la domanda è: quante imprese potranno sostenere questo crollo?
In una situazione drammaticamente opposta si sta trovando invece il segmento dei rifiuti sanitari, “nicchia” di mercato ben più piccola e redditizia, ma che rischia di soffocare per l’improvvisa e imprevedibile impennata dei volumi da gestire. Le complessità italiane, che da troppo tempo frenano la costruzione di impianti, rischiano di diventare drammatiche in un comparto dove la termovalorizzazione è necessaria per ovviare ragioni di sicurezza sanitaria.
Neppure il settore dei rifiuti urbani (e assimilati) ne è indenne. La produzione di rifiuti calerà, sia quella delle famiglie, sia (anzi soprattutto) quella del terziario, in primis commercio e ristorazione. La diminuzione dei consumi, con una riduzione del Pil italiano stimata tra il 6% e 8% su base annua, potrebbe tradursi in un calo dei RU fino a 2 milioni e mezzo di tonnellate. Dove le politiche di prevenzione finora hanno fallito, sta invece riuscendo (purtroppo) il virus!
Aumenterà, al contrario, la complessità della loro gestione.
Il blocco e il rallentamento di alcune attività industriali rende sempre più necessaria la riorganizzazione del servizio di gestione dei rifiuti urbani e della filiera a valle, onde evitare la sospensione della differenziata. Se infatti la raccolta dei rifiuti prosegue, non accade lo stesso per altre parti della filiera, quali selezione e riciclo. La chiusura di alcuni settori che trattano o impiegano materiali recuperati, come ad esempio alcune plastiche, e la sospensione delle esportazioni (destinazione di quote importanti di materie prime seconde) stanno di fatto bloccando gli sbocchi dei materiali raccolti. Gli stoccaggi si stanno saturando velocemente ed è quindi necessario autorizzarne l’aumento come ha recentemente disposto l’Emilia-Romagna e altre Regioni successivamente.
L’emergenza ha poi riportato alla ribalta il tema dei termovalorizzatori, che si rendono essenziali nel contesto delle misure intraprese per arrestare la diffusione del COVID-19. L’Istituto Superiore di Sanità ha infatti richiesto che le persone trovate positive oppure in quarantena preventiva non differenzino i propri rifiuti, ma li conferiscano in un unico sacchetto, messo a sua volta in un altro sacchetto, che sarà poi inviato a termovalorizzazione senza pre-trattamento.
La fragilità del sistema italiano di gestione dei rifiuti appare ancor più grave in questa situazione di emergenza. Infrastrutture adeguate e con opportuni margini di riserva, in particolare di termovalorizzatori distribuiti in modo omogeneo sul territorio, permetterebbero infatti di poter gestire blocchi temporanei di alcune fasi della filiera e di ridurre i rischi ambientali e sanitari. Si pensi alla logistica e all’handling in sicurezza dei rifiuti in un moderno termovalorizzatore rispetto ad una discarica a cielo aperto.
Ma la crisi ha impatti anche su tempi e modalità di attuazione di misure regolatorie e sulle policy. La tariffa rifiuti introdotta da Arera, già oggetto di proroghe, rischia di slittare ulteriormente. Il D.L. 18/2020 (art. 107 c.5) prevede che i Comuni possano approvare le tariffe della Tari adottate per il 2019 anche per il 2020 e predisporre il PEF entro il 31/12/2020. Se questo è condivisibile viste le complessità anche organizzative che la situazione attuale comporta, dall’altro rischia di produrre altre difficoltà. Ad esempio, un sistema che non considera i volumi di rifiuti effettivamente prodotti (come è la tassa rifiuti) rischia di gravare eccessivamente settori, come il commercio e la ristorazione, già duramente provati da questa crisi. Peraltro il calo di queste attività ridurrà solo parzialmente i costi dei gestori, data la struttura di costi fissi e la necessità di assicurare la continuità del servizio.
L’Autorità è dunque intervenuta con la deliberazione n. 102/2020/R/Rif al fine di raccogliere dati e informazioni per rivedere il sistema tariffario nell’ambito dell’adozione di una serie di provvedimenti per contrastare gli attuali difficili frangenti.
Trovare la quadra tra ridurre i ricavi delle imprese di waste management e non penalizzare gli utenti non sarà facile. Probabilmente richiederà un intervento normativo, oltre che regolatorio, ad hoc.
Quando poi, terminata l’emergenza si cercherà di far ripartire l’economia, il rischio è che le politiche climatiche ed ambientali passino in secondo piano.
La ricostruzione di quello che sarà un nuovo “dopoguerra” dovrà anche ripensare alcuni aspetti del nostro sistema di waste management. Paradossalmente potrà essere un’opportunità per affrontare con determinazione le debolezze del nostro Paese nei rifiuti: carenze di infrastrutture, burocrazia, indecisionismo politico, apatia (o peggio ostilità) sociale. Forse anche un’occasione per avere un po’ più di consapevolezza da parte di tutti della vicinanza tra economia circolare ed economia reale!