Il settore tessile-abbigliamento negli ultimi anni ha conosciuto una straordinaria evoluzione, soprattutto in conseguenza della diffusione della fast fashion, che permette di avere sempre più velocemente nuovi capi a prezzi economici. Se da un lato ha cambiato i modelli di business e il quadro competitivo, dall’altro, ha diverse implicazioni sui profili ESG. La produzione del settore aveva già significativi (seppur non molto evidenti) impatti ambientali: impiego di materie prime, consumo di acqua, emissioni di gas serra. La fast fashion ha contribuito però ad aumentare esponenzialmente l’entità di tali fattori, nonché la produzione di rifiuti.
Da qui l’interesse sempre più marcato delle politiche europee e nazionali verso i tessili. Oltre alla situazione comunitaria e italiana, è interessante osservare, per capire la situazione europea e i possibili sviluppi futuri, cosa sta accadendo in altre nazioni UE, come Francia e Svezia.
La produzione di fibre tessili, nella sola Unione Europea, è passata da 58 milioni di tonnellate nel 2000 a 109 milioni di tonnellate nel 2020, con la previsione che possa arrivare a 145 milioni di tonnellate entro il 2030 (fonte EEA). Ancora più velocemente è diminuita la vita utile dei beni acquistati, spesso utilizzati solo poche volte prima di divenire rifiuti. Ogni anno sono attualmente generate circa 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, di cui 5,2 milioni di tonnellate relative ad abbigliamento e calzature. Appena il 22% del totale è raccolto in modo differenziato per essere riusato o riciclato, mentre il resto è spesso incenerito o inviato in discarica (fonte Commissione Europea).
L’Unione Europea mira a rendere, entro il 2030, i tessuti immessi sul mercato comunitario più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili, assicurando, allo stesso tempo, una produzione che rispetti ambiente, salute e condizioni di lavoro adeguate. In una risoluzione del giugno 2023 (2022/2171(INI)), il Parlamento europeo ha ribadito che “entro il 2030, i prodotti tessili presenti sul mercato dell’UE dovranno essere durevoli e riciclabili. Il fast fashion per quella data dovrebbe esser fuori moda”. Al contrario, oggi le aziende della fast fashion stanno avendo una forte crescita, promossa dai social e dall’e-commerce, come pure dalla riduzione del potere di acquisto dei consumatori a causa del difficile quadro macroeconomico.
In passato, tuttavia, non sono mancate le accuse di greenwashing verso alcune di queste imprese. Per alcune di nascita più recente, è stata addirittura coniata l’espressione “ultra fast fashion” e sono state denunciate le condizioni di vita dei lavoratori e l’impiego di sostanze non conformi nei prodotti commercializzati. Per reagire a queste accuse, diversi player stanno esplorando soluzioni per gestire la dismissione, allungare il ciclo di vita dei propri prodotti o hanno lanciato programmi per migliorare la propria sostenibilità, sia ambientale che sociale e di governance. Questo anche di fronte alle misure che alcuni Paesi europei stanno attuando o hanno intenzione di adottare nei prossimi anni.
Tra questi spicca la Francia, dove l’EPR per i tessili esiste già da più di un decennio e tra i pionieri di diverse policy nel settore dei rifiuti tessili, tra cui, ad esempio, l’introduzione di un bonus per la riparazione dei beni e il divieto di distruggere i beni invenduti (si veda WAS articolo 10.05.2024). Nel marzo di quest’anno, infatti, l’Assemblea Nazionale ha approvato una proposta di legge proprio per regolamentare la fast fashion, ora in attesa dell’esame dei senatori. Tra le principali disposizioni:
- le società di vendita online della “fast fashion” saranno tenute, per evitare sanzioni, ad esporre sul proprio sito messaggi per sensibilizzare sull’impatto ambientale dei loro prodotti e incoraggiare il riuso, la riparazione e il riciclo.
- sono previste sanzioni ecologiche per ogni loro prodotto, pari a 5 euro nel 2025, con un aumento di 1 euro ogni anno successivo fino ad arrivare a 10 euro nel 2030. Tali somme consentirebbero di assegnare bonus alle aziende virtuose del settore tessile.
- dal 1° gennaio 2025, il divieto di pubblicità dei marchi “fast fashion” e la promozione delle aziende o dei marchi che li distribuiscono. Un divieto esteso anche agli influencer commerciali.
La Svezia, come l’Italia, ha stabilito l’introduzione di un sistema EPR per i tessili dal primo gennaio 2022, prevedendo un periodo di due anni di transizione. Nel 2023, il Governo svedese ha modificato la normativa nazionale sui rifiuti, prevedendo nuovi requisiti per lo smistamento e la raccolta dei rifiuti tessili. Sulla base di questi, nel corso del 2024, l’Agenzia svedese per la protezione dell’ambiente svilupperà nuove linee guida per indirizzare gli attori del settore. Il Paese è oggi tra i leader nello sviluppo di tecnologie innovative per la selezione, il riciclo e la produzione di nuove fibre, con il primo impianto di selezione dei rifiuti tessili completamente automatizzato, inaugurato nel 2020.
Un altro importante impianto, il primo per il riciclo da tessile a tessile su scala industriale, è stato avviato nel 2022 ma ha dichiarato fallimento poco più di un anno dopo. Tra le motivazioni, è emblematico il fatto che il materiale in uscita, una polpa biodegradabile utilizzabile per produrre nuova fibra tessile, non abbia trovato sufficienti sbocchi tra i marchi della moda, inclusi quelli che si erano fissati obiettivi di sostenibilità.
L’Italia non ha ancora affrontato la questione “fast fashion” direttamente come la Francia e rimane in attesa di norme europee più precise. A livello nazionale, come noto, l’obbligo per l’istituzione della raccolta differenziata dei tessili è entrato in vigore dal primo gennaio 2022, anticipando la data del primo gennaio 2025 prevista dall’UE (si veda WAS articolo SQ 04.11.2021). Negli ultimi anni sono quindi sorti diversi sistemi collettivi, sei per il momento, alcuni concentrati solo in determinate aree e altri attivi sull’intero territorio nazionale. Tuttavia, mancando ancora il decreto legislativo che dovrebbe regolamentare il settore, la situazione è ancora piuttosto ferma. Nel 2022, infatti, risultava che il 76% dei Comuni avesse istituito sistemi di raccolta differenziata per i rifiuti tessili, contro il 72% del 2021 e il 73% del 2020 (fonte Ispra).
L’attenzione rivolta alla creazione di impianti capaci di selezionare, trattare e indirizzare a riuso o riciclo è comunque elevata, con la realizzazione di diversi Textile Hub, alcuni finanziati anche dal PNRR, tra cui, ad esempio, quelli di Rho e Prato. I lavori di quest’ultimo, che impiegherà l’intelligenza artificiale e la tecnologia a infrarossi per separare i capi a seconda del colore e della composizione, sono stati avviati proprio nel maggio di quest’anno. In parallelo, vi sono numerosi progetti portati avanti da aziende, sistemi collettivi e cooperative, ad esempio, rivolti a diminuire la produzione di rifiuti tessili nell’area mediterranea o a rendere più efficienti le attuali modalità di raccolta in alcune aree.
Il settore tessile-abbigliamento, con la crescita della fast fashion, sta creando importanti sfide al waste management europeo. Alcuni Paesi stanno già cercando di intervenire con l’adozione di specifiche misure e non mancano le iniziative di diversi player, tra cui spesso anche gli stessi operatori del modello fast fashion. Si tratta però ancora di casi isolati. Una risposta adeguata si potrà avere solo sulla base di chiare norme a livello comunitario e adeguate attuazioni nazionali.