I termovalorizzatori in Italia, tra resistenze e innovazione

Gli impianti di termovalorizzazione rivestono un ruolo primario nella chiusura del ciclo dei rifiuti, consentendo di evitare il conferimento in discarica laddove il recupero di materia non sia possibile oppure economicamente conveniente. Sono una soluzione chiave per conseguire l’obiettivo comunitario di portare al di sotto del 10% la quantità di rifiuti inviati in discarica entro il 2035. In Italia, tuttavia, il numero e la capacità di trattamento dei termovalorizzatori continuano a non essere adeguati al fabbisogno, mentre la distribuzione rimane concentrata nelle regioni settentrionali. La situazione ha però iniziato ad evolversi con l’avvio dell’iter per la costruzione di un impianto a Roma.

Nel 2022 è stata annunciata l’intenzione del Comune di Roma di costruire un impianto capace di trattare 60.000 tonnellate di rifiuti e di generare elettricità per soddisfare il fabbisogno di 150.000 famiglie ogni anno. La struttura, la cui realizzazione è prevista entro il 2027, sorgerà nell’area industriale di Santa Palomba e conterrà anche una serra, spazi di sosta, dotazioni per l’accoglienza e la didattica, piccole serre per la sperimentazione della concimazione carbonica.  

Nello stesso anno, la Regione Sicilia, una delle situazioni più critiche nella gestione dei rifiuti in Italia e da sempre priva di questi impianti, ha annunciato l’intenzione di costruire due termovalorizzatori. Una possibilità che si è concretizzata nel 2025 con la firma di un accordo per le gare con Invitalia in gennaio e con la pubblicazione di uno specifico cronoprogramma dei lavori in febbraio. Le due strutture, il cui avvio è previsto per il 2028, saranno situate una a Bellolampo (PA), dove sussiste già una discarica, e l’altra nella zona industriale di Catania, per una capacità di trattamento complessiva di 750.000 tonnellate annue.

Dovrebbe quindi invertirsi una tendenza che ha visto gli impianti Waste to Energy (WtE) italiani diminuire progressivamente nell’ultimo decennio, passando da 48 nel 2013 a 36 nel 2023 (fonte Ispra).

Serve, tuttavia, uno sforzo maggiore. Diverse analisi evidenziano infatti che questi nuovi investimenti non sono comunque sufficienti a soddisfare appieno le necessità.

Gli scenari di fabbisogno impiantistico al 2035 delineati dal think tank WAS considerano due scenari per i rifiuti urbani, uno di bassa e uno di alta produzione (Figura 1a e 1b). Il primo ipotizza che tutte le regioni conseguano gli stessi standard 2018 del Veneto, che combina una raccolta differenziata elevata (78% nell’anno) e una produzione pro-capite di RU inferiore alla media nazionale (481,7 kg/ab. rispetto a 499,7 kg/ab. nel 2018), pur con un PIL pro-capite superiore. Il secondo, invece, si basa sulla produzione pro-capite regionale massima storica, raggiunta nel 2007. Per la capacità di trattamento si tiene conto dell’entrata in funzione del termovalorizzatore di Roma e dei due in Sicilia, così come dell’ampliamento della capacità dell’impianto di Torino da 420.000 a 490.000 tonnellate annue, approvato a inizio marzo 2025.

In generale, mentre il Nord-Ovest vede un surplus in entrambi i casi, il Meridione e le Isole maggiori continuano a segnare invece un deficit.

Figura 1a. Fabbisogno capacità impianti WtE al 2035 in Italia nello scenario di Bassa Produzione RU.

Figura 1b. Fabbisogno capacità impianti WtE al 2035 in Italia nello scenario di Alta Produzione RU.

Ciononostante, permangono resistenze sociali e politiche alla realizzazione della capacità necessaria. Gli ostacoli alla costruzione dei termovalorizzatori sono diversi e includono le complessità burocratiche, la non chiara attribuzione delle competenze tra Stato e Regioni e i fenomeni di opposizione sociale e politica, il noto fenomeno Not In My Back Yard (NIMBY). In quest’ultimo caso, a contribuire è anche la mancanza di un reale coinvolgimento della popolazione con una comunicazione chiara, semplice ed efficace. Nel caso dell’impianto di Roma, a fine febbraio 2025, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso dei Comuni di Pomezia, Ardea, Marino e Ariccia che volevano bloccare la realizzazione dell’impianto, mentre a inizio marzo, è stato presentato un ricorso al Tar del Lazio contro la costruzione dei due termovalorizzatori siciliani.

Peraltro, le opposizioni hanno interessato anche altri progetti, alcuni dei quali per ora solo annunciati. Tra questi, vi sono gli impianti che si vorrebbero realizzare in Liguria (la cui localizzazione esatta è ancora da definire), in Lombardia nel Comune di Montello, nelle Marche (da 370.000 tonnellate annue, in base a quanto previsto dal Piano regionale dei rifiuti) e in Umbria.

I timori circa gli impatti, tuttavia, sono infondati, dato che le norme UE e nazionali prevedono ormai limiti stringenti per le emissioni dei termovalorizzatori, in modo da garantire una qualità dell’aria elevata e prevenire i possibili impatti negativi per la salute umana e l’ambiente. Diversi degli oltre 500 impianti WtE attivi in Europa sono situati all’interno di importanti centri urbani, come, ad esempio, Dublino, Copenaghen, Parigi, Vienna e Barcellona. Tali strutture non sono solo integrate nelle comunità ma, in alcuni casi, sono considerate un miglioramento per le aree in cui sono localizzate, rappresentando luoghi di incontro e svago, oltre a trasformare i rifiuti in energia e calore.

Innovazione tecnologica, ma anche un’adeguata gestione delle relazioni con tutti gli stakeholder, sono elementi fondamentali per una strategia nazionale di waste management basata su un portafoglio equilibrato ed efficiente di soluzioni di trattamento che non può non considerare anche la valorizzazione energetica dei rifiuti.