Il comparto dei rifiuti speciali tra frammentazione e consolidamento

Il settore della gestione dei rifiuti speciali, sebbene abbia dimensioni considerevoli, rimane tuttora relativamente poco conosciuto rispetto a quello degli urbani. La numerosità e diversità dei materiali trattati e dei mercati, le peculiarità tecnico-operative, la frammentazione industriale e la limitata trasparenza di alcuni segmenti rendono non agevole un’analisi completa ed approfondita. Ugualmente, manca una chiara politica industriale nazionale per un comparto cruciale per larga parte delle attività produttive italiane.

I rifiuti speciali (RS) prodotti in Italia sono aumentati dell’11% in tre anni, passando da 139 milioni di tonnellate nel 2017 a 154 milioni nel 2019 (fonte Ispra). Se si escludono i rifiuti da costruzione e demolizione (C&D), nel 2019 si sono avuti 75,5 milioni di tonnellate di speciali, provenienti per la maggior parte (25%) dallo stesso settore del waste management, seguito dall’industria manifatturiera (19%). Nel complesso, il 69% dei RS, corrispondenti a circa 113 milioni di tonnellate, è inviato a recupero di materia, mentre le operazioni di smaltimento coprono il 18% e la restante parte è avviata ad incenerimento o coincenerimento. Gli scambi internazionali non sono poi trascurabili, con le esportazioni hanno superato i 3,9 milioni di tonnellate nel 2019, segnando un incremento del 13,4% sull’anno precedente, e le importazioni i 7 milioni di tonnellate, in aumento del 19,7% (fonte: ISPRA).

Negli anni, l’aumento dei quantitativi di rifiuti speciali ha portato ad avere un settore piuttosto dinamico, seppur caratterizzato da una frammentazione elevata degli operatori. Più complesso rispetto al comparto dei rifiuti urbani (RU), presenta però una marginalità più elevata che attrae sia aziende storicamente attive nei RU, che player da altri settori.  

L’innovazione tecnologica sta rendendo più sfumati i confini tra il comparto dei rifiuti speciali e quello degli urbani, favorendo la convergenza industriale e promuovendo le partnership tra diversi operatori. Basti pensare che almeno un quarto delle 124 maggiori aziende della raccolta, trattamento e smaltimento dei RU è presente anche nella filiera dei RS, seppur con un’incidenza molto variabile sul totale dei rifiuti trattati, con una forbice che va da pochi punti percentuali fino a oltre il 50%.

Esiste poi una moltitudine di operatori attivi prevalentemente nella filiera degli speciali, pericolosi e non. Si tratta soprattutto di aziende private specializzate, aventi medio-piccole dimensioni. I Top 50 player dei RS diversi da C&D registrano un valore della produzione (VP) aggregato di 1,88 miliardi di euro nel 2020, con il 67% generato solo dalle prime dieci e una dimensione media che si aggira intorno ai 56 milioni di euro. A dispetto degli impatti dell’emergenza sanitaria, e a riprova della dinamicità e resilienza del settore, il VP segna un aumento del 4% rispetto al 2019.

Questi 50 operatori spaziano su attività e mercati diversi, tra cui, ad esempio, quelli delle bonifiche, degli oli, del trattamento delle acque, dei rifiuti sanitari, dei rifiuti radioattivi, della rimozione e smaltimento dell’amianto e degli spurghi industriali. È anche dall’estrema eterogeneità che contraddistingue il comparto che derivano l’interessante redditività e le numerose opportunità di crescita che attraggono nuovi operatori da settori diversi.

Alcuni operatori dei RS sono nati come filiazione di grandi gruppi industriali, ma sono oggi realtà distinte e, in alcuni casi, tra i leader del settore. Eni Rewind, ad esempio, inizialmente società captive del gruppo, sta sviluppando numerose iniziative nel waste to fuel. Altri, tra cui, ad esempio, Itelyum ed EcoEridania sono cresciuti attraverso acquisizioni. Accanto a questi grandi gruppi vi sono poi aziende specializzate in uno specifico mercato degli speciali, come quelle attive nel recupero e nella valorizzazione delle materie prime seconde, oppure operatori con attività diversificate oltre al business dei rifiuti speciali, come ad esempio opere civili e montaggi meccanici.

Le maggiori 50 aziende degli speciali hanno anche un diverso livello di integrazione verticale e di profittabilità. L’80% degli operatori mappati effettua la raccolta dei RS, mentre solo il 62% si occupa del riciclo, probabilmente anche a causa delle ingenti risorse tecnologiche e finanziarie necessarie in questa fase. Ben il 92% è poi attivo nel trattamento degli speciali, mentre l’80% nello smaltimento, con alcune aziende proprietarie di impianti e/o presenti solo in questo business. Le fasi meno redditizie sono la raccolta e il riciclo, per le quali il rapporto EBITDA/VP è mediamente intorno al 14%. Il dato raggiunge il 18% per lo smaltimento e il 15% per il trattamento.  

Recentemente, in un clima di incertezza, la gran parte delle strategie aziendali ha puntato a consolidare il core business. In particolare, gli investimenti si sono focalizzati sul revamping degli impianti esistenti piuttosto che sulla realizzazione di nuovi. Ad influire contribuiscono sia le minori complessità normative e autorizzative, sia l’elevata frammentazione del settore che, soprattutto in questo periodo, frena i possibili investimenti in nuovi progetti.

L’emergenza sanitaria, pur colpendo l’attività delle aziende e gli investimenti nel comparto, sta contribuendo a sviluppare un sistema più circolare, ad esempio, mediante una maggiore digitalizzazione. Diversi player puntano, infatti, sui sistemi informativi che hanno permesso un aumento della tempestività del trattamento dei dati e l’ottimizzazione della gestione. Allo stesso tempo, non si sono fermate le operazioni di ricerca e sviluppo per vari operatori dei rifiuti speciali, nonostante, in alcuni casi, parte delle risorse sia stata dirottata per coprire gli impatti dell’emergenza.

Il quadro delineato evidenzia quindi un settore dalle diverse sfaccettature, in veloce mutamento, con livelli di integrazione e modelli di business differenti. Non è insolito che taluni operatori abbiano una copertura merceologica piuttosto ampia nella fase di raccolta, essenzialmente per finalità commerciali, cioè di servizio completo ai clienti. Nelle fasi successive, tuttavia, si avvalgono di altre imprese per trattare e smaltire in modo opportuno quanto raccolto. Difficile, però, valutare in modo preciso il grado di terziarizzazione delle diverse attività. Anche da questo punto di vista, il comparto della gestione dei rifiuti speciali appare assai articolato e complesso, con profili aziendali e di business non sempre facilmente intellegibili. Il rischio è che, in alcuni casi, la mancanza di trasparenza possa sottendere pratiche gestionali non sempre adeguate.

La crescita dimensionale dei maggiori operatori (sia utility che specializzati), con la tendenza al consolidamento del settore, costituisce pertanto un positivo fattore di razionalizzazione e rafforzamento dell’offerta. Una maggiore massa critica, da un lato è necessaria per poter effettuare ingenti investimenti in nuove infrastrutture e tecnologie; dall’altro permette di offrire competenze e livelli di servizio più elevati a clienti industriali sempre più attenti. Sostenibilità, affidabilità e reputation assumono, infatti, importanza crescente in un settore come quello dei rifiuti speciali che è strategico per la chiusura del ciclo in molti settori industriali italiani.