L’economia circolare è uno dei principali assi di intervento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con una particolare attenzione a ridurre i divari territoriali nella gestione dei rifiuti.
Il Piano destina, infatti, il 60% dei 2,1 miliardi previsti per il settore del waste management al Centro-Sud con l’obiettivo di colmare il deficit impiantistico e, in generale, promuovere lo sviluppo di tali aree.
A fronte di questa previsione, il numero di iniziative presentate per il Sud Italia entro la scadenza originaria dei bandi è stato piuttosto ridotto, tant’è che sono stati prorogati i termini. Visto che ben il 70% delle proposte ricevute proveniva dalle sole regioni del Centro-Nord, infatti, la scadenza è stata posticipata di 30 giorni proprio per aumentare i progetti presentati dalle regioni meridionali.
Insomma, un parziale fallimento, recuperato solo dilatando i tempi originariamente previsti; perché? Il Piano, come noto, prevede di finanziare gli enti locali e, dove esistono, gli Enti di Governo d’Ambito (Egato) per il miglioramento della capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti. Il PNRR affida quindi la presentazione dei bandi alle amministrazioni pubbliche, che però non sono spesso riuscite a pianificare e sviluppare i progetti, a causa di diversi fattori. Tra i più diffusi vi è la mancanza di adeguate competenze e organizzazione, in genere proprie delle aziende e non degli Enti locali.
L’eventualità di una simile situazione era stata già delineata nell’ultima edizione del WAS Annual Report. I Comuni, che spesso non hanno grandi dimensioni, infatti, difficilmente dispongono del know-how e dell’imprenditorialità tipiche delle imprese. Non per niente, in caso di inadempienze delle singole amministrazioni sulla capacità di spesa, si prevede il subentrare dei poteri di affiancamento e di sostituzione in capo alla Presidenza del Consiglio.
Diversi operatori del settore avevano già sottolineato alcune lacune nell’impostazione dei bandi, tra cui la mancanza di una pianificazione a livello nazionale e una tempistica troppo ridotta per iniziative che possono essere particolarmente complesse, soprattutto alla luce delle lungaggini causate dalla burocrazia italiana. Riforme più incisive dei processi autorizzativi e accelerazione delle norme EoW sarebbero state necessarie per aumentare l’effettiva fattibilità dei progetti in tempi ragionevoli. Diversi hanno criticato la scelta di destinare buona parte dei fondi a municipalità ed Egato, quando invece avrebbero potuto finanziare le aziende più performanti e innovative.
Sul piano delle tipologie di rifiuti interessate dai finanziamenti, viene dato ampio spazio ai rifiuti urbani (RU) a discapito degli speciali (RS), che pur rappresentano la maggior parte dei rifiuti generati annualmente, intorno all’80% del totale. Nel 2019, ad esempio, si avevano 30,1 milioni di tonnellate di RU contro 154 milioni di tonnellate di RS, che scendono a 73,2 milioni se si escludono i rifiuti da costruzione e demolizione (fonte Ispra).
Altro punto critico è la mancanza di provvedimenti volti a creare le condizioni per lo sviluppo del mercato del riciclo, in modo da trovare sbocchi per le materie prime seconde recuperate. Al contempo, il PNRR avrebbe dovuto tenere in considerazione anche gli automezzi, necessari per effettuare la raccolta, ma spesso datati e quindi da sostituire con veicoli più nuovi per migliorarne l’efficienza e ridurne gli impatti ambientali.
Se da un lato, l’attenzione all’innovazione attraverso i “progetti faro” è certamente positiva, dall’altro va evitato il rischio di penalizzare le iniziative che mirano ad ottimizzare la filiera senza però ricorrere a particolari soluzioni tecnologiche. Nel settore italiano dei rifiuti, infatti, talvolta mancano tout-court gli impianti necessari o bisogna semplicemente ammodernare quelli già esistenti, ma non servono soluzioni o tecnologie di particolare innovatività.
Ora, scaduti i bandi per l’economia circolare, è possibile delineare un primo quadro. Le proposte sono state nel complesso oltre 4.100, per un valore aggregato di ben 12 miliardi di euro contro i 2,1 miliardi messi a disposizione dal PNRR. A dimostrazione dell’interesse degli operatori, ma, allo stesso tempo, dell’inadeguatezza dell’ammontare allocato. Dalle regioni del Sud Italia sono pervenuti 1.860 progetti, corrispondenti al 45% del totale, per un valore di 4,6 miliardi di euro, già da soli pari a più del doppio delle risorse allocate dal Piano. Per quanto riguarda poi le altre aree, dal Nord sono arrivate più di 1.470 domande, pari a una quota del 36%, per 4,4 miliardi di euro e dalle regioni del Centro 780 domande, equivalenti al 19%, per 3,3 miliardi di euro (fonte ISPRA).
Un successo, dunque? Difficile rispondere. Andrà verificata l’effettiva consistenza e fattibilità dei progetti proposti. Certamente la distribuzione tra le diverse aree geografiche parrebbe comunque rimanere sbilanciata se confrontata con i fabbisogni e le carenze attuali dei diversi territori.
I bandi per l’economia circolare, d’altra parte, hanno anticipato la redazione del Piano nazionale di gestione dei rifiuti (Pngr), previsto dalle riforme strutturali del PNRR e avente un orizzonte temporale di sei anni, dal 2022 al 2028. Il Mite ha infatti pubblicato la proposta di Pngr solo il 17 marzo, mentre i termini dei bandi, inizialmente stabiliti a metà febbraio, sono stati successivamente posticipati tra il 16 e il 23 marzo, a seconda della linea di intervento. Il rischio è che si allochino le risorse del PNRR in base alle diverse richieste pervenute e senza avere una visione strategica nazionale, sprecando un’importante occasione per il settore del waste management italiano. Ancora una volta, purtroppo, a mancare pare sia una strategia unitaria e di medio-lungo periodo.