La proposta di Regolamento UE per gli imballaggi, sarà vera gloria?

Nel quadro del Pacchetto per l’Economia circolare, il prossimo 30 novembre sarà pubblicato il testo della proposta di regolamento UE, che modifica il Regolamento UE 2019/1020 riguardante la vigilanza del mercato e la conformità dei prodotti e abroga la Direttiva 94/62/CE su imballaggi e rifiuti di imballaggio. Alcuni dei temi paiono comportare trasformazioni profonde per il sistema di gestione dei rifiuti di imballaggio e, più in generale, per l’industria come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.

In generale, la bozza include un obiettivo di riciclo complessivo per gli imballaggi del 65% in termini di peso al 2025, così suddivisi: 75% per carta e cartone, 70% per vetro e metalli ferrosi, 50% per plastica e alluminio, 5% per legno. Al 2030 l’obiettivo sale al 70%, ripartito in: 85% per carta e cartone, 80% per i metalli ferrosi, 75% per il vetro, 60% per l’alluminio, 55% per la plastica e 30% per il legno.

In materia di prevenzione è poi previsto l’obbligo per gli Stati membri di attuare una riduzione del 5% dei rifiuti di imballaggio generati pro capite entro il 2030, del 10% al 2035 e del 15% al 2040. A questo proposito, il ricorso al riutilizzo viene considerato il mezzo da preferire per consentire il raggiungimento dei target.

L’adozione di sistemi di deposito (Deposit refund schemes, DRS) è senza dubbio tra i punti più critici della proposta. Secondo il documento, infatti, gli Stati membri sarebbero tenuti ad istituire sistemi DRS, entro il primo gennaio 2028, per il packaging monouso in plastica e metallo delle bevande, avente capacità fino a 3 litri. Sono esclusi i contenitori per vino, bevande alcoliche, latte e latticini, ma i Paesi possono decidere se creare sistemi DRS per altri imballaggi, tra cui, ad esempio, le bottiglie in vetro monouso e i cartoni per le bevande. Innanzitutto, va compreso bene cosa si intende con questo meccanismo. Un sistema DRS consiste nella raccolta di determinati flussi di imballaggi, in genere contenitori per bevande presso i punti di vendita, che saranno poi avviati a riciclo. Ciò diversamente dal cosiddetto “vuoto a rendere”, in cui i contenitori sono raccolti per essere lavati, igienizzati e nuovamente riempiti. Quest’ultima possibilità è generalmente applicata solo per le bottiglie in vetro, con l’eccezione del Pfandsystem in Germania, dove i contenitori per bevande in PET commercializzati sono però più spessi e robusti.  

A livello globale, esistono sistemi DRS in oltre 40 nazioni. In Europa, dove il primo è stato introdotto in Svezia nel 1984, sono oggi presenti in almeno dieci Stati UE. Repubblica Ceca, Italia e Bulgaria sono invece le uniche nazioni UE in cui un dibattito sull’adozione di sistemi di questo tipo a livello nazionale non è mai veramente iniziato.

Uno studio pubblicato nel 2021 aveva evidenziato come ogni anno in Italia oltre sette miliardi di contenitori per bevande uscissero dalle filiere del riciclo e venissero inceneriti, inviati a smaltimento o dispersi nell’ambiente. Un ammontare di rifiuti che, secondo le stime, potrebbe essere ridotto anche del 75-80% grazie all’adozione di un sistema DRS (fonte Associazione Comuni Virtuosi). Negli anni, non sono mancati esempi implementati da alcuni retailer, sistemi di gestione, ONG e associazioni di vario tipo, ma sono rimasti sempre casi piuttosto isolati. Le ragioni sono diverse e comprendono i costi di implementazione, le complessità gestionali e le abitudini dei consumatori. L’introduzione di sistemi di deposito non è infatti cosa semplice e necessita di rivedere determinate fasi della filiera, investire in macchinari per la restituzione, modificare le abitudini dei consumatori incentivando la restituzione degli imballaggi dopo l’uso, etc. Tutti fattori di non facile attuazione in tempi relativamente brevi. Ma soprattutto non è così pacifico che il bilancio costi-benefici, non solo economici ma anche ambientali, sia positivo. Rispetto all’alternativa (oggi largamente prevalente) del riciclo, ci sono costi e impatti dei trasporti, dei processi di lavaggio e igienizzazione e, per alcuni materiali, dell’effettiva riutilizzabilità (e/o il numero di volte) del packaging restituito. Last but not least, vanno considerati gli impatti, economici e industriali sui mercati delle materie prime seconde e sulle filiere del riciclo. D’altra parte, un elevato tasso di riuso potrebbe ridurre la disponibilità di recovered material e mettere a rischio i target di riciclo. Un vero paradosso!

Fondamentale è poi la scelta di una compensazione adeguata per i beni restituiti. Il Global Deposit Book, analizzando diversi sistemi DRS, ha osservato che (ovviamente) maggiore è la compensazione, più alto è il tasso di restituzione. In particolare, per depositi inferiori ai 7 centesimi di dollari per ogni contenitore, il tasso di resa si attesta sul 68%, mentre con un deposito tra i 7 e i 9,9 centesimi sale all’81% e con uno tra i 10 e i 15 centesimi si può anche superare l’88%. In questo quadro, l’Europa dispone di alcuni dei sistemi più virtuosi, con depositi pari o superiori ai 5 centesimi di dollari e tassi fino al 94%.

Al contempo, dal primo gennaio 2030, il 30% delle bevande da asporto, fredde e calde, dovrà essere contenuto in imballaggi riutilizzabili all’interno di un sistema che ne consenta il riempimento. Percentuale che passa al 95% entro il primo gennaio 2040. Per i cibi pronti da asporto, infine, sono previsti target del 20% dal primo gennaio 2030 e del 75% dal primo gennaio 2040. Peraltro, allo scopo di favorire scelte consapevoli da parte dei consumatori, dovrà essere adottata un’apposita etichettatura per gli imballaggi. Questa dovrà riportare informazioni su composizione e riutilizzabilità, ma anche quelle relative alla disponibilità di un sistema per il riuso e gli specifici punti di raccolta per facilitare la tracciabilità del packaging.

La bozza include poi obiettivi per il contenuto minimo riciclato pari al 50% per le bottiglie monouso e al 45% per gli altri imballaggi entro il 2030 e fino al 65% in entrambi i casi entro il 2040. Non solo. A partire dal 2030 tutti gli imballaggi immessi sul mercato dovranno essere riciclabili. Il documento contiene anche disposizioni volte a prevenire il sovra-imballaggio e a rendere il packaging più leggero. Sempre a partire dal 2030, infatti, “ogni unità di imballaggio dovrà essere ridotta alla sua dimensione minima in termini di peso, volume e strati di imballaggio, ad esempio limitando lo spazio vuoto”.

L’effetto combinato delle misure analizzate, previste dalla bozza del regolamento, porterebbe a ripensare i circuiti tradizionali, mediante l’introduzione di sistemi DRS, e ad avere meno imballaggi nei flussi di riciclo ma dall’elevato contenuto di materiale riciclato. In teoria, i benefici potrebbero essere molteplici, come la raccolta di materiali aventi composizione più omogenea, un minor impiego di materie prime vergini e maggiori sbocchi per le MPS prodotte. Potrebbero però esserci anche impatti significativi sulle filiere del riciclo, influenzando volumi, prezzi e qualità delle materie prime seconde. A dispetto delle scadenze previste dalla bozza di regolamento, sarebbero quindi necessarie ulteriori valutazioni per evitare di danneggiare le filiere del recupero italiane che vedono oggi elevati tassi di riciclo e alcune delle quali, come quella cartaria, hanno già superato con anni di anticipo i target europei. L’Italia pare, infatti, una delle nazioni potenzialmente più penalizzate dal nuovo regolamento. Il paradosso è che la forte posizione nel riciclo dei materiali sarebbe un handicap piuttosto che un vantaggio. Molteplici sono, infatti, le critiche giunte da diversi settori industriali che, già penalizzati da un quadro macroeconomico difficile, chiedono un approccio meno ideologico e maggior pragmatismo. Insomma, pare che anche in questo caso sia necessario coniugare meglio “economia circolare ed economia reale”.