Il comparto dell’acqua presenta una serie di criticità in Italia, nonostante il profondo processo di cambiamento che ha interessato le utilities negli ultimi anni. La gestione del servizio idrico è da tempo oggetto di crescente attenzione da parte sia dei policy maker nazionali ed europei, sia dei cittadini, sia degli operatori economici e finanziari.
La recente attribuzione delle competenze regolatorie all’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha oggi messo in fermento il settore, ingenerando attese (e timori) nelle imprese così come nei diversi stakeholder, consumatori in primis.
A oggi, il settore ha nel complesso prestazioni in media ancora lontane dai migliori parametri internazionali e soffre di gravi carenze infrastrutturali. Sono necessari importanti interventi, sia in termini ambientali, sia economici, dato l’alto costo per adduzione, potabilizzazione e depurazione.
Elevato è Il fabbisogno di investimenti per rinnovare reti acquedottistiche e fognarie e costruire nuovi impianti di depurazione. Per la depurazione l’Italia, ha già ricevuto la seconda procedura di infrazione dall’UE a causa dei ritardi accumulati. Recente è poi il blocco del servizio in alcune aree fuori norma per le concentrazioni di arsenico e già da lungo tempo richiamate dall’Europa.
Reti, investimenti e best practices
Nonostante questo quadro poco confortante, nel nostro Paese vi sono anche numerosi casi di gestione idrica efficiente, con benefici sia per i consumatori che per l’ambiente. Varie analisi realizzate da Althesys hanno stimato gli effetti delle politiche di buona gestione del ciclo idrico in termini eco-nomici, socio-sanitari ed ambientali.
Negli anni le analisi hanno valutato l’impatto degli investimenti nelle reti con diverse tecnologie, esaminato le politiche idriche in agricoltura, realizzato indagini sulle best practices, individuando a più riprese enormi spazi di miglioramento e benefici potenziali molto importanti per il nostro Paese.
Interessante è in particolare, confrontare alcuni casi di eccellenza con l’intero territorio nazionale. Lo studio effettua una stima differenziale tra i casi di eccellenza e i valori medi per valutare non solo gli aspetti economici ma anche quelli ambientali e sociali. L’approccio è multistakeholder e valuta le ricadute, sia tangibili che intangibili, che la gestione del ciclo idrico ha sulla comunità.
Entro il 2020 benefici per 25,6 miliardi di euro
Dal confronto tra alcuni parametri dei casi di eccellenza e quelli medi italiani è stato possibile stimare il potenziale di miglioramento in astratto conseguibile.
Se l’Italia conseguisse lo stesso livello di performance dei best performer considerati, entro il 2020 si potrebbero ottenere benefici per 25,6 miliardi di euro. Il campione comprende gestori del servizio idrico le cui performance sono al di sopra dei valori medi nazionali; i parametri considerati sono: il livello di perdite, l’entità delle tariffe, il riuso di acque reflue in agricoltura, le condizioni infrastrutturali e l’inquinamento dell’acqua. In base a tali variabili sono state individuate alcune aziende che costituiscono esempi di best practice e che rappresentano la varietà del comparto idrico; si differenziano, infatti, per abitanti serviti, fatturato, natura dell’impresa, caratteristiche territoriali e patrimonio infrastrutturale.
Il potenziale di miglioramento che il Paese può ottenere è stato valutato stimando il gap tra i valori delle performance dei gestori esaminati e quelli medi nazionali. Tale differenziale è stato poi ripa-rametrato alla situazione italiana, individuando cioè i benefici/mancati costi che l’Italia potrebbe conseguire se avesse migliori performance. In primis si è considerato il livello medio di perdite idriche. In Italia tale valore è pari a circa il 40%, quasi il doppio di quello delle best practices esaminate. Il dato italiano riflette una media di valori regionali molto eterogenei: in Lombardia le perdite ammontano al 25%, in Abruzzo il 61%. Un ulteriore confronto può essere attuato a livello europeo: in Germania, ad esempio, le perdite ammontano al 7%. Un minor livello di perdite comporta minori volumi persi e, valutati alla tariffa media, minori costi.
I casi di eccellenza, inoltre, sono caratterizzati da tariffe più basse rispetto alla media nazionale. Viene quindi stimato il risparmio per i cittadini delle gestioni idriche eccellenti ottenibile grazie al minor livello di tariffe rispetto a quello medio nazionale. Le tariffe medie europee, al contrario, sono molto più elevate. Oltre a valutazioni strettamente economiche si considerano anche aspetti ambientali come il riutilizzo dell’acqua depurata in agricoltura. Questi volumi sono valorizzati al contributo irriguo medio.
Oltre alle perdite, le reti idriche sono caratterizzate da un livello medio di interventi non program-mati a seguito di rotture più elevato rispetto a quello dei casi di eccellenza. La stima considera due elementi: uno tangibile – i costi per mancati interventi (manodopera evitata) – e uno intangibile – i minori impatti esterni (mancati disagi recati dal cantiere in termini di traffico, inquinamento, rumore, etc.).
Infine, sono stati stimati i mancati costi per ridurre l’inquinamento nelle acque depurate. I casi di eccellenza hanno valori sensibilmente inferiori rispetto ai limiti della normativa nazionale. Se l’Italia fosse caratterizzata da questi valori potrebbe evitare gli oneri necessari a ridurre il livello di inquinamento. Non sono state considerate le multe relative alle infrazioni della normativa europea per il mancato rispetto dei target di qualità dovuto alla mancanza o all’insufficienza degli impianti di depurazione.
L’ Italia dell’acqua ce la farà?
Il miglioramento delle performance a vantaggio di tutto il Paese è possibile solo proseguendo nel processo di razionalizzazione e industrializzazione del settore. È chiave superare la frammentazione delle gestioni per raggiungere livelli di efficienza e economicità adeguati. Gli stessi obiettivi che si poneva nel lontano 1994 la legge Galli e che purtroppo ad oggi non sono stati colti.
Riuscirà il nuovo assetto regolatorio a far cambiare marcia la settore? Finora la cautela (giustamente) ha prevalso e il periodo tariffario transitorio (già oggetto di qualche critica e distinguo) sarà il primo banco di prova.
Certamente l’AEEG ha centrato un punto chiave (che da tempo anche noi sosteniamo), cioè la quali-tà del servizio per il consumatore. Non ha senso parlare di tariffe sic et simpliciter, se non sono as-sociate a parametri di performance che, seppur debbano tenere in conto le specificità territoriali, non possono continuare a vedere due (o più) Italie, assai diverse tra loro.
E allora diventa fondamentale favorire il confronto tra i vari gestori mediante strumenti di ben-chmarking, l’individuazione di best practices e la definizione di standard qualitativi e operativi che dovrebbero essere un punto centrale della politica industriale per il settore idrico. Ciò permetterebbe di recuperare efficienza e quindi risorse in una fase di difficoltà a investire e di crisi della finanza pubblica.
I benefici per i cittadini di un adeguato rapporto tra tariffa e performance sono evidenti dai risultati del lavoro. In questo senso ci pare che l’avvio dell’Autorità sia confortante, sebbene la strada da fare sia ancora molta.
Bisognerebbe, tra l’altro, stimolare il confronto tra le perfomance dei gestori (nazionali e internazio-nali), promuovere soluzioni water saving, intervenire sul finanziamento degli investimenti e sulla promozione di tecnologie e materiali innovativi, ecc..
Lavorando su questi aspetti sarà davvero possibile tutelare gli interessi dei cittadini, promuovere l’efficienza e la trasparenza, verificare e garantire livelli minimi di qualità. Solo in questo modo sarà possibile tradurre in realtà l’enorme potenziale di miglioramento che a più riprese abbiamo stimato.
[1] Tra gli altri: Marangoni A., “I benefici di una efficace gestione dell’acqua per l’Italia, Economia dei Servizi, Il Mulino, Bologna, Agosto 2011.