Il riciclo si è sviluppato sulla spinta delle Direttive europee, delle norme nazionali e delle attività dei compliance schemes, ma di fatto vive grazie alla convenienza economica del recupero dei materiali. Storicamente, nazioni povere di materie prime, come l’Italia, hanno costruito solide filiere fondate sul riciclo in molti settori. L’industria cartaria italiana, ad esempio, si basa per il 57%1 sui maceri, la siderurgia sul rottame (81%)2, mentre la leadership nel legno-arredo si giova anche su una forte industria dei pannelli a base di legno riciclato.
I materiali provenienti dalla raccolta differenziata (RD) hanno sostenuto lo sviluppo di queste industrie e ne hanno create di nuove, come per le plastiche, la frazione organica dei rifiuti urbani, i RAEE e gli accumulatori. Molti di questi sono ormai commodities scambiate sui mercati mondiali che, in alcuni casi hanno permesso l’assorbimento dei surplus di raccolta di alcune nazioni. L’esportazione di maceri tedeschi ha in passato alimentato l’industria cartaria italiana, mentre le esportazioni verso l’Asia sono state la destinazione delle eccedenze italiane e di molte altre nazioni.
In tempi più recenti, l’effetto combinato della crescita della raccolta e della chiusura di alcuni mercati internazionali (in primis la Cina, ma non solo) ha reso problematico collocare volumi crescenti di materiali. Dal 2014 al 2018, infatti, il peso della Cina sull’export italiano è sceso dal 51% al 5% (Figura 1). Nonostante i flussi verso altri Paesi, per lo più del Far East, siano conseguentemente cresciuti (per esempio l’Indonesia dal 9% nel 2014 al 22% nel 2018), esiste la possibilità che anche questi introducano prima o poi limitazioni.
L’eccesso di offerta si è subito tradotto in un crollo dei prezzi delle materie prime seconde (MPS) e in difficoltà crescenti a chiudere il ciclo, portando in alcuni casi addirittura a dover tornare a trattarle come rifiuti. Nel 2019 negli USA, ad esempio, diverse città hanno fermato la RD, introdotto limiti per i materiali accettati o approvato aumenti dei prezzi della gestione dei rifiuti.
Insomma, l’economia circolare è stata vittima del suo stesso successo!
In alcuni comparti, come quello della plastica, l’emergenza sanitaria ha ulteriormente aggravato la situazione. La chiusura dei mercati esteri unitamente alla temporanea fermata di molte imprese della trasformazione impedisce a buona parte della plastica da riciclo di trovare sbocchi. Ugualmente per la frazione non riciclabile (plastmix) a causa del blocco dei cementifici. Il risultato sono siti di stoccaggio saturi di materiali, che, senza azioni rapide e mirate, potrebbero finire in discarica.
In altri, al contrario, il mercato si è riequilibrato proprio grazie agli effetti del lockdown. Per la carta, ad esempio, il calo della RD è stato superiore al rallentamento della produzione, riequilibrando domanda e offerta e facendo risalire le quotazioni di alcune qualità di maceri (Figura 2).
La chiusura dei confini e una minor raccolta sono quindi la soluzione per tenere in equilibrio (alcune) filiere del riciclo? Il virus è riuscito laddove i policy maker e il ruolo sussidiario dei consorzi hanno fallito?
Se così fosse, significherebbe fermare le politiche di riciclo, invece di fondare la ripresa post Covid sul Green Deal. Peraltro, riportare in patria alcune produzioni, ridurre le importazioni (non le esportazioni) per diminuire la dipendenza dall’estero nell’approvvigionamento di materie prime sarebbe coerente con i principi dell’economia circolare. Ma non è detto che questo renda più agevole la gestione di rifiuti.
Le filiere del riciclo, infatti, non sono realtà separate dal resto del sistema di gestione dei rifiuti, ma ne sono parte integrante. L’equilibrio dei sistemi di waste management dipende sempre di più dal recupero e riciclo: circa 55,5% nei rifiuti urbani e 67,4% nei rifiuti speciali (fonte: ISPRA).
Il rallentamento o la fermata delle attività economiche impatta sullo sbocco di vari flussi di rifiuti, come nel caso citato delle plastiche, e quindi sul modello stesso di economia circolare. Diversamente dagli impianti dedicati al recupero energetico o allo smaltimento dei rifiuti, il riciclo non assicura lo sbocco dei materiali che continuano comunque ad essere raccolti dai servizi di igiene urbana.
Tutto ciò impatta su efficienza e costi dei servizi ambientali. I corrispettivi per i materiali raccolti entrano, peraltro, nella formulazione tariffaria definita da Arera, costituendo un elemento critico (come già evidenziato nel nostro articolo “Tariffa rifiuti, questa sconosciuta”, v. Staffetta Rifiuti 06/03).
Anche per queste ragioni, Arera (Segnalazione 136/2020/I/COM) sta predisponendo misure per fronteggiare gli effetti dell’emergenza sanitaria e “garantire, in una logica di sistema, l’equilibrio economico e finanziario dei settori ambientali e le connesse condizioni di sostenibilità per i fruitori del servizio” (v. Staffetta Rifiuti 24/04). Arera evidenzia anche la necessità che i Comuni non usino le deroghe concesse nell’applicazione della TARI (art. 1 Legge 147/2013) per adottare sic et simpliciter i corrispettivi passati senza considerare i cambiamenti dovuti all’emergenza.
Come, dunque, mantenere in equilibrio, operativo e finanziario, il sistema di gestione dei rifiuti a fronte delle complessità delle filiere del riciclo e degli impatti dell’emergenza virus?
La necessità di ripartire con forza dopo la crisi rilancerà o frenerà le politiche ambientali e l’economia circolare? Siamo, in verità ad un bivio: possiamo scegliere se considerare l’emergenza solo un “imprevisto” da cui uscire al più presto per tornare al business as usual, oppure coglierla come un’opportunità per ripensare le criticità del sistema attuale?
Quali azioni mettere, dunque, in campo per rendere il sistema del waste management più efficiente e resiliente in futuro?
Innanzitutto, promuovere ulteriormente lo sviluppo dell’industria italiana del riciclo. In Germania, ad esempio, per fronteggiare il surplus di maceri l’industria cartaria ha sviluppato nuova capacità produttiva da recovered paper. Le cartiere italiane sono, invece, costrette a investire all’estero a causa dei problemi nella realizzazione di impianti per recuperare energia dagli scarti da pulper. L’annosa vicenda della normativa “end of waste”, con incredibile autolesionismo, ha finora bloccato molte iniziative e tecnologie per il recupero e riciclo. La vicenda degli assorbenti è diventata un caso di scuola (in negativo). L’emergenza Covid sta inducendo le politiche di reshoring: permitting snelli, capacità di gestire i residui dei processi produttivi e minori costi dell’energia sono possibili strade per attuarle concretamente.
Favorire lo sviluppo impiantistico, puntando su permitting agevoli piuttosto che su incentivi economici, anche nell’ottica di disporre di capacità di riserva nella valorizzazione energetica. Se si creano eccessi di plastica da RD e i mercati internazionali non l’assorbono, meglio recuperare energia, calore (e valore) usandola come combustibile, invece di consumare risorse e territorio per mandarla in discarica. Parallelamente investire nella R&S e nelle tecnologie innovative, come per esempio il waste-to-fuel per il plastmix.
Il Green Public Procurement, oggetto di tanti proclami ma mai veramente decollato nel nostro Paese, deve diventare uno strumento più efficace. La spesa pubblica è ingente e spesso viene citata come volano per rilanciare l’economia. Riorientarla in chiave sostenibile sarebbe un modo per sostenere le filiere del riciclo senza ulteriori impieghi di risorse. Procedure più chiare (a cominciare da alcuni CAM), competenze di valutazione e certificazioni affidabili, consentirebbero di muovere in tempi brevi cospicue risorse verso l’industria del riciclo.
In quest’ottica, quote obbligatorie di materie prime seconde in molti prodotti potrebbero contribuire a favorirne la domanda. Come accade, ad esempio, in Francia, dove i contributi ambientali dei compliance schemes, nel settore degli imballaggi o in quello dei RAEE, sono modulabili sulla base di vai fattori. Tra questi, il peso delle MPS impiegate nei beni immessi sul mercato, che, se superiore ad una certa soglia, comporta contributi inferiori per i produttori o, altrimenti, un sovrapprezzo.
Ripensare e potenziare il sistema dei consorzi, senza stravolgimenti, ma con una evoluzione che ne favorisca ancora di più il ruolo sussidiario nel mercato. A partire, ad esempio, dalla possibilità di ampliare le riserve finanziarie anche attraverso la creazione di un fondo di compensazione a cui attingere per sostenere il riciclo (o acquistare e stoccare parte delle eccedenze) nelle fasi congiunturali negative. Sarebbe un compito da svolgere assicurando una pluralità di attori e senza distorcere la libera concorrenza. Dovrebbe essere svolta con limiti temporali ben definiti e in quadro di regole chiare con i diversi player della filiera con lo scopo di ammortizzare le eccessive oscillazioni dei mercati.