L’evoluzione in atto nel settore del waste management, oltre che il comparto dei rifiuti urbani, tocca sempre più anche quello degli speciali, al centro delle strategie di molteplici player di diversa estrazione. L’emergenza sanitaria degli ultimi anni, pur impattando su alcuni profili gestionali e sui volumi, infatti, non ne ha realmente frenato lo sviluppo. Le quantità di rifiuti speciali prodotte nel 2020 sono solo leggermente calate rispetto al 2019: da circa 154 a 147 milioni di tonnellate (-4,5%). Tolte quelle da attività di costruzione e demolizione, i rifiuti speciali sono 82,1 milioni di tonnellate, di cui 9,8 milioni pericolosi. Sono volumi superiori di oltre due volte e mezza gli urbani, pari a 28,9 milioni di tonnellate nello stesso anno, un mercato ampio e piuttosto attraente.
Nonostante la contrazione dei volumi, il comparto degli speciali mantiene il dinamismo che lo ha contraddistinto negli ultimi anni. È caratterizzato da una forte polarizzazione, con pochi player medio-grandi e un tessuto frammentato di Pmi che differiscono per taglia, business e livelli di integrazione. Ed è proprio questa frammentazione, più marcata di quella esistente nel settore degli urbani, a costituire però un limite agli investimenti, alla competitività delle imprese e all’ottimizzazione dei processi aziendali.
Nel complesso, il comparto è sempre più interconnesso con gli altri segmenti del waste management, con confini tra rifiuti urbani (RU) e speciali (RS) sempre meno definiti. Utility storicamente operanti negli urbani coesistono con imprese focalizzate solo, o in prevalenza, sugli speciali. Alcune delle maggiori aziende degli urbani analizzate nel Was Annual Report 2022 (24 gruppi) sono, infatti, attive anche sugli speciali, per un totale di 4,92 milioni di tonnellate di RS gestiti nel 2021 (+10,6% sul 2020), a fronte di 9,71 milioni di RU. In altre parole, oltre metà del business delle waste utility è oggi negli speciali.
I Top 50 player specializzati nei rifiuti speciali, invece, hanno visto un valore della produzione (VP) aggregato in crescita del 10% sul 2020, di 3,11 miliardi di euro, contro i 4,77 complessivi (RS+RU) delle 24 utility. Il 41% del giro d’affari totale è stato generato dai grandi gruppi multi-business, che polarizzano il mercato nonostante siano solo il 6% delle imprese.
Al contempo, la filiera si conferma redditizia e dinamica. La marginalità media, espressa come Ebitda/VP, nel 2021 si attesta al 15,8%, solo in leggera contrazione rispetto all’anno precedente. Il quadro degli operatori è in evoluzione, con alcune imprese che spiccano per le dinamiche di crescita o di integrazione e altre che registrano risultati meno soddisfacenti. La maggior parte dei player mostra, infatti, risultati positivi, trainati sia dalla crescita in nuovi segmenti che dal consolidamento del perimetro di attività. In quest’ottica è strategica la capacità di integrazione orizzontale e verticale da parte delle imprese, in un comparto in continuo mutamento che sta diventando sempre più innovativo.
L’integrazione orizzontale delle aziende tra i vari segmenti di business è piuttosto elevata. In particolare, le grandi società si concentrano sul trattamento dei reflui chimici e delle acque, mentre le performance migliori vengono raggiunte dalle imprese attive nelle bonifiche e nella rimozione dell’amianto. La presenza in più mercati può garantire molteplici vantaggi e opportunità: sfruttare sinergie ed economie di scala maggiori, porsi come unico referente nel servire i grandi clienti commerciali e industriali, ottimizzare l’impiego di know-how, materiali e mezzi aziendali.
Analogamente, l’integrazione verticale lungo la catena del valore, dalla raccolta allo smaltimento, riveste una sempre maggiore importanza. La fase più profittevole è quella dello smaltimento, con una marginalità del 17,1%, mentre nel trattamento opera il maggior numero di aziende. Più limitata, invece, la presenza dei player nel riciclo, a causa degli investimenti e delle competenze tecnologiche necessarie. In generale, l’acquisizione di quote o del controllo di operatori specializzati è la modalità prevalentemente utilizzata per incrementare il grado di integrazione, sia verticale che orizzontale.
L’analisi degli operatori, suddivisi per cluster strategici, conferma la marcata frammentazione del comparto. Il settore è in larga parte presidiato da player specializzati di piccole dimensioni e da PMI diversificate. A queste due categorie si può infatti ricondurre ben l’84% delle aziende esaminate. Il restante 16% è invece rappresentato da grandi gruppi multi-business e da operatori specializzati di medie dimensioni, che pesano però per il 41% del valore della produzione.
Il cluster dei piccoli operatori specializzati è il più performante, con il 20,8% di Ebitda/VP, mentre i piccoli e medi operatori diversificati sono i più versatili e adattabili e riescono ad aggredire vari business, nonostante una profittabilità nella media del settore, con l’Ebitda/VP pari a 13,1%.
Crescita, innovazione tecnologica e investimenti legati al Pnrr sono i tre principlali driver che guidano oggi l’evoluzione del settore e che ne modelleranno la configurazione futura.
L’innovazione tecnologica si riflette nei molteplici accordi tra le imprese, finalizzati a sfruttare collaborazioni strategiche volte a sviluppare nuovi prodotti e processi. Gli investimenti in capacità impiantistica per il trattamento degli speciali sono in aumento, grazie ai finanziamenti del Pnrr e dei player del settore.
In conclusione, a dispetto della complessità intrinseca delle tecnologie adottate e delle criticità di un mercato ancora troppo frammentato, il settore dei rifiuti speciali si conferma dinamico, attrattivo e in continua evoluzione.