La crisi economica causata dal lockdown ha prodotto (e continuerà a produrre) pesanti effetti sul settore del waste management. Molteplici sono i fronti: dagli aspetti organizzativi e di sicurezza del lavoro, all’acuirsi delle carenze infrastrutturali; dalle difficoltà delle filiere del riciclo connesse alla volatilità dei mercati delle materie prime seconde, ai problemi perequativi nei confronti di cittadini e imprese della tariffa rifiuti, ai riflessi sull’equilibrio economico dei gestori.
In questo quadro, numerose sono state le proposte per contrastarne o mitigarne gli impatti, tanto sui fruitori dei servizi che sugli operatori. Le imprese hanno chiesto di ridurre gli oneri che incidono su larghe fette del sistema economico, in particolare su commercio, ristorazione e turismo, colpiti dal crollo dei ricavi ma comunque gravati dai costi. Ugualmente, le fasce più deboli della popolazione necessitano di sostegni, anche mediante agevolazioni sulle bollette dei servizi pubblici.
Le imprese di waste management, anche attraverso le associazioni di categoria, hanno evidenziato le varie complessità dovute all’emergenza. A fronte della continuità del servizio, il calo dei ricavi (connesso a quello delle entrate degli enti locali) mette a rischio l’equilibrio finanziario di molte aziende.
Arera, per far fronte alla situazione, ha previsto, con la Delibera 158, possibili riduzioni della Tari. Peraltro, la stima di 400 milioni, fatta dall’Autorità, del fabbisogno derivante dalle minori entrate tariffarie (dovute soprattutto alle utenze non domestiche) si confronta con quella di 1,25 miliardi su tre mesi di Utilitalia, non distante dalla nostra di circa un miliardo (articolo Staffetta Rifiuti del 3 aprile). La diversità del perimetro di analisi e delle ipotesi assunte sono le ragioni principali di tali differenze.
Questa crisi ha quindi evidenziato ancor di più le peculiarità del waste management rispetto ad altri settori regolati. La correlazione tra quantità del servizio erogato e costi è bassa. La struttura di tali oneri vede un maggior peso degli Opex rispetto ai Capex (data la natura più labour intensive di varie fasi) e rimane piuttosto rigida. In altri termini, raccogliere e trattare minori volumi di rifiuti riduce poco o affatto i costi. In alcuni casi, variando il mix di quanto raccolto (per esempio, maggiori quantitativi di organico domestico), potrebbe addirittura aumentarli.
Disegnare la tariffa in questo comparto è, dunque, molto più difficile che in altri e presenta un dilemma di non facile soluzione tra tutela dei consumatori e sostenibilità economica per i gestori.
La questione del finanziamento del sistema di gestione degli urbani rimane pertanto centrale.
La situazione di emergenza sta di fatto facendo esplodere in maniera evidente tutte le contraddizioni e incongruenze di un sistema stratificato e incerto che in quasi un quarto di secolo non è riuscito a passare da tassa a tariffa. La norma che la introduceva in attuazione del criterio comunitario “polluter pays” risale, infatti, al lontano 1997 (art. 49 del D.Lgs. 22/97).
La tariffa, di cui già abbiamo evidenziato le criticità in un precedente articolo (6 marzo), diventa quindi uno dei punti principali sui quali si scaricano molte di queste contraddizioni.
La questione della sostenibilità finanziaria delle riduzioni di gettito della Tari di alcune categorie dovute al lockdown ha occupato ampio spazio nel dibattito e prodotto accorati interventi di sindaci e operatori. La Delibera 158 di Arera incide su una materia, i tributi locali (in oltre il 90% dei Comuni la Tari è ancora tale), in cui i Comuni godono di una riserva di legge.
Peraltro, anche se la tariffa fosse diffusamente applicata non risolverebbe la questione. Il metodo tariffario concepito dall’Autorità (MTR) è basato sui costi effettivi consuntivati e non è progettato per considerare situazioni eccezionali, come quella corrente. D’altro canto, i Comuni (che in pochi casi hanno redatto il nuovo PEF) devono approvare la tariffa in pareggio. Come coprire dunque le riduzioni indicate da Arera e quelle decise dai Comuni stessi?
La previsione della Delibera 158, nata giustamente per rispondere celermente all’emergenza, incontra così l’obiezione (formalmente corretta, ma poco pragmatica) di non avere una base giuridica. Prevedendo di ridurre la quota variabile in proporzione al periodo di chiusura delle attività, l’Autorità interverrebbe sul presupposto giuridico del tributo e non solo sul metodo tariffario. La vecchia Tari ex Dpr. 158/1999 si basa, infatti, sulla presunzione legale di produzione di rifiuti di una superficie e non sulla situazione effettiva. Diverso è invece il caso di applicazione della tariffa puntuale che però è ancora poco diffusa.
L’Autorità, peraltro, ha poteri di regolazione tariffaria, ma non di modificare il presupposto del tributo (qual è ancora oggi nella maggior parte dei casi la Tari), che compete invece al legislatore.
La straordinarietà della situazione (come già avvenuto nel caso dell’intervento sulle tariffe per il disastro di Genova) potrebbe giustificare questo “sconfinamento”, ma non cambia la questione di fondo.
Né la modifica radicalmente il recente riconoscimento della natura tariffaria della Tari da parte della Cassazione (ordinanza 27.1.2020).
La complessità del percorso di approvazione della tariffa, disegnato da Arera, che ha dovuto barcamenarsi nella stratificazione di competenze e soggetti diversi coinvolti, mostra chiaramente le difficoltà del sistema italiano.
Insomma, il legislatore ha introdotto l’Autorità ma non l’ha messa nelle condizioni di operare al meglio.
Tutto ciò evidenzia in modo drammatico la debolezza congenita di un sistema nel quale i Comuni fungono ex lege da “intermediari” della riscossione verso gli operatori (siano pubblici o privati) che svolgono effettivamente la gestione dei rifiuti.
La privativa dei Comuni presenta tuttavia un doppio aspetto per i gestori: può essere una garanzia rispetto alla complessità di una riscossione polverizzata e alla morosità (come ben sanno le aziende idriche), ma anche un rischio laddove l’ente locale sia inadempiente o in forte ritardo nei pagamenti.
Questa interposizione dei Comuni, peraltro, presentava criticità ben prima dell’emergenza Covid. Si pensi ai mancati pagamenti degli enti locali in dissesto alle imprese di waste management, tanto private che pubbliche. In alcuni casi, si ha il paradosso di aziende possedute dai Comuni in sofferenza finanziaria a causa dei mancati pagamenti da parte dei loro soci.
Insomma, l’attuale situazione ci mostra che il vero punto non è semplicemente immaginare misure ponte (comunque utili se non spesso necessarie) per superare la crisi, come la possibilità di accedere alle risorse della Csea o a garanzie statali per finanziarie le imprese di gestione dei rifiuti.
Non basta aver introdotto la regolazione di Arera; le sue competenze e impegno si scontrano con la necessità di variare la normativa primaria e mettere ordine nell’assetto istituzionale. Peraltro, con l’attribuzione delle competenze in materia di rifiuti all’Autorità si sarebbe dovuto procedere anche ad un serio riordino legislativo.
Il nodo centrale consiste nel ripensare radicalmente i meccanismi di finanziamento, ridisegnando lo stesso sistema istituzionale e normativo, il modello di governance e le diverse competenze.
Solamente con un atto di coraggio e un cambiamento radicale si risolveranno non solo i bizantinismi atavici della tassa-tariffa rifiuti, ma si potrà realmente modernizzare il settore, sotto diversi profili, dal colmare i gap impiantistici al recupero di qualità ambientale nelle aree del Paese ancora in ritardo.
Il potenziale di investimento e le ricadute economiche sulla filiera (oltre che sulla qualità dell’ambiente e della vita) possono essere straordinarie, ma bisogna voltare pagina. La politica e il legislatore dovrebbero cambiare totalmente passo e riscrivere tutto partendo da un foglio bianco.