Il tema della termovalorizzazione è recentemente tornato alla ribalta a seguito dell’annuncio del sindaco di Roma di voler realizzare un impianto entro il 2025-2026 per trattare 600.000 tonnellate e porre fine alla situazione di continua emergenza nella città.
In Sicilia, storicamente priva di impianti waste-to-energy (WtE), l’amministrazione regionale sta procedendo nell’iter per la costruzione di due termovalorizzatori, uno a Gela e l’altro a Catania, per trattare i rifiuti non pericolosi generati nelle nove province dell’isola. In particolare, il primo dovrebbe avere una capacità di 400.000 tonnellate annue e una vita utile di trent’anni, per un investimento di circa 647 milioni di euro. Per il secondo si prevedono una capacità di 450.000 tonnellate all’anno per vent’anni, con un investimento intorno ai 400 milioni di euro.
Ancor più recente è la richiesta di autorizzazione per realizzare un impianto ad Aprilia, in provincia di Latina. Il termovalorizzatore avrebbe una capacità di circa 437.000 tonnellate annue e il calore generato andrebbe ad alimentare una rete di teleriscaldamento per le abitazioni della zona per un investimento di circa 410 milioni di euro.
Nel complesso si avrebbero quasi due milioni di tonnellate di nuova capacità WtE, non distanti dalla stima di fabbisogno nazionale di nuovi impianti svolta nel WAS Annual Report del 2019 (ma altri 3 milioni circa andrebbero rinnovati).
Un vero e proprio cambiamento di scenario, potenzialmente un evento epocale vista la cronica deficienza impiantistica che si trascina ormai da tempo immemore a Roma e in Sicilia.
Nonostante, si siano levate (le solite) voci contrarie, pare mutato anche il clima generale, visto che, diversamente da quanto sarebbe potuto accadere fino a qualche anno fa, le proposte sono state accolte con favore da diverse parti. È, dunque, il segno che la percezione verso questo tipo di impianti stia cambiando anche nel nostro Paese?
Nel 2020 in Italia erano complessivamente attivi 37 termovalorizzatori, di cui solo uno nel Lazio, quello di San Vittore in provincia di Frosinone avente una capacità di trattamento intorno alle 300.000 tonnellate annue e oggi autorizzato ad un ampliamento fino a 600.000 tonnellate annue. Negli anni, il numero degli impianti nazionali ha visto un trend discendente rispetto a quando, nel 2013, operavano 48 termovalorizzatori, di cui ben quattro nel Lazio (fonte Ispra). Le motivazioni risiedono in una molteplicità di fattori. Tra questi, la graduale dismissione del parco impianti esistente senza il parallelo revamping o la costruzione di nuovi impianti, i lunghi tempi di permitting e vari fenomeni NIMBY.
La stessa Europa ha comunque fornito informazioni discordanti sulla termovalorizzazione, che non hanno aiutato a frenare tale declino. Oltre ad includere la termovalorizzazione nella gerarchia dei rifiuti, il “Pacchetto Economia Circolare” del 2018 ha stabilito il target di ridurre lo smaltimento dei rifiuti urbani in discarica al di sotto del 10% del totale entro il 2035, includendo il ricorso a termovalorizzatori ad elevata efficienza energetica tra le soluzioni per conseguire tale obiettivo. La tecnologia, in seguito, è stata però esclusa dalla tassonomia europea, che definisce le tecnologie sostenibili finanziabili, in quanto non rispetterebbe il principio “Do not significant harm”.
In alcune delle nazioni più virtuose sul piano del recupero di materia, tuttavia, vi è anche il più alto tasso di incenerimento e, al contempo, un ricorso residuale alla discarica (Figura 1). Questo dimostra che la disponibilità di un mix adeguato di impianti permette una migliore gestione dei rifiuti urbani, capace di rispettare quanto previsto dalla gerarchia dei rifiuti.
Figura 1. Trattamento dei rifiuti urbani nel 2019 negli EU27 e in Svizzera, Norvegia e UK
Fonte: CEWEP su dati Eurostat, Ispra per Italia
Tornando al caso di Roma, il nuovo termovalorizzatore vede sulla carta una capacità annua di 600.000 tonnellate, che permetterà di intercettare la quota residua di RU indifferenziati che finirebbe altrimenti in discarica e che consentirà la chiusura dell’impianto TMB di Rocca Cencia. Il progetto si colloca proprio nell’ottica di una strategia “zero discariche”. Una volta attivo, occorrerà solo una piccola discarica di servizio da 60.000 tonnellate annue. L’impianto, infatti, dovrebbe consentire di ridurre del 90% il fabbisogno di discariche di Roma e del 20% la Tari. Di fronte alla necessità di ridurre la dipendenza energetica, così come i costi dell’energia per famiglie e per imprese, Roma potrebbe risparmiare circa 30-40 milioni di euro grazie al termovalorizzatore.
Tutto bene, allora? Non proprio; tuttora le voci contrarie all’impianto non mancano. Il Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti del Lazio del 2020, inoltre, punta su raccolte differenziate e riduzione del conferimento in discarica, ma sostiene che l’incenerimento “dovrà essere residuale ed in progressiva dismissione”. In particolare, nell’arco dei cinque anni successivi è prevista “una riduzione del 50% del fabbisogno di conferimento in discarica e inceneritore nella prospettiva di una conseguente chiusura degli impianti attualmente esistenti intesi nell’attuale assetto impiantistico”. Lo scopo vorrebbe essere quello di favorire la realizzazione di impianti di trattamento e recupero in un’ottica del 100% di rifiuti riciclati, che però non pare realistico.
Certamente resta non facile superare resistenze ataviche, spesso politiche e ideologiche piuttosto che basate su elementi scientifici. Tuttavia, il WtE, allo stato delle tecnologie, rimane una componente importante del portafoglio di soluzioni di waste management. A maggior ragione se l’obiettivo è ridurre drasticamente il ricorso alla discarica.
Peraltro, nel quadro degli obiettivi energia-clima europei al 2030 anche il WtE può contribuire come fonte rinnovabile (o cosiddetta assimilabile), dato che tale è buona parte dei rifiuti urbani. Seppur non risolutivo potrebbe anche concorrere a ridurre la dipendenza energetica dall’estero, al pari di altre tecnologie come il biometano.
Punti chiave saranno comunque la definizione di politiche nazionali e locali di più ampio respiro, chiare e omogenee, così come l’ottenimento del consenso sociale, che potrebbe essere favorito coinvolgendo e informando tutti gli stakeholder e creando una gestione trasparente delle informazioni. Un’attenta analisi costi-benefici delle diverse opzioni può, inoltre, aiutare a comprendere i vantaggi e le ragioni dello sviluppo del WtE anche nel nostro Paese.